• Ei tuloksia

Altri personaggi femminili

4. PERSONAGGI DEI ROMANZI DELLA ROSA

4.1. RAPPRESENTAZIONI FEMMINILI

4.1.8. Altri personaggi femminili

Mentre nell’Innocente e nel Trionfo i personaggi femminili secondari delineati con riferimenti all’arte visiva sono pochi, nel Piacere sono numerosi e fanno parte dell’aristocrazia o del «semi-mondo». Negli altri due romanzi ci sono invece anche personaggi che appartengono al popolo e alla borghesia. Descrivendoli nel Piacere, D’Annunzio ricorre a formule manieristiche che provengono dai suoi scritti gior-nalistici. La galleria di tipi femminili associati a un’opera d’arte esiste dunque già prima del romanzo d’esordio. Nei suoi articoli il giovane scrittore descrive meti-colosamente i vestiti delle dame, e anche nel Piacere la varietà si trova soprattutto nell’abbigliamento, oltreché nei referenti visivi dei personaggi. A differenza della poesia rinascimentale nella quale i quadri sono considerati belli se assomigliano a donne viventi,127 nel Piacere le donne vive sono belle perché assomigliano ai quadri.

Il tema dell’interscambiabilità delle donne, segnalato da Pireddu (ed altri),128 si manifesta in diversi modi nelle similitudini ecfrastiche che illustrano i personaggi femminili: le donne si associano alle opere d’arte, vengono trattate come un collet-tivo, oppure le qualità attribuite ora a una passano poi a un’altra. In questo processo il senso del referente può cambiare, come abbiamo visto nel caso di Maria.

Secondo una concezione ottocentesca comune ogni uomo è un individuo, mentre la donna rappresenta un certo tipo femminile, o la femminilità collet-tiva; in altre parole una donna comprende tutte le donne. Inoltre rappresenta la natura.129 Anche nei romanzi della Rosa i personaggi femminili rappresentano certi tipi, non sono invidui, e il tipo della donna è spesso definito da una figura pittorica.

Inoltre esse vengono rappresentate come un’insieme, come nella descrizione del ballo a palazzo Farnese, dove le dame romane, prive di caratteristiche personali, sono assimilate alle figure mitologiche negli affreschi di Annibale Caracci:

158. [...] nella galleria d’Annibale Caracci le semiddie quiriti lottavan di formo-sità con le Ariadne, con le Galatee, con le Aurore, con le Diane degli affre-schi [...]; le teste ingemmate si curvavano o si ergevano; certe bocche semia-perte brillavano come la porpora; certe spalle nude luccicavano sparse d’un velo d’umidore; certi seni parevano irrompere dal busto, sotto la veemenza dell’ansia (Piacere, p. 74).

Secondo Andreoli questa descrizione risale a due articoli, Il concerto dei concerti, in cui le nobildonne romane sono accostate alle pitture murali di palazzo Barberini, e un altro, apparso senza titolo, che descrive un ricevimento dato dall’ambasciatore

127 Per es. Rogers 1986: 291, 293–297.

128 Per es. Andreoli in Prose di romanzi: 1114.

129 Dijkstra 1986: 129. Anche i Goncourt riducono tutte le donne a un singolo tipo sociale, psicolo-gico e biolopsicolo-gico: una donna è tutte le donne, una donna universale (Forrest 2005–2006: 46).

francese a palazzo Farnese.130 La descrizione delle membra delle semiddie quiriti assomiglia a quelle delle figure di cera e dei corpi dei pellegrini nella scena di Casalbordino nel Trionfo, ma anche a quella dei corpi scolpiti nei bassorilievi del cortile di Michelangelo nello stesso romanzo (che vedremo più avanti). I brani del Trionfo sottolineano la singolarità del protagonista maschile, nel senso che i corpi degli altri contrastano con il suo che è assente nel romanzo. Nell’esempio (158) le altre donne formano uno sfondo contro cui si staglia la bellezza di Elena. Grazie all’estremo pallore la sua bellezza risalta contro i visi accesi delle altre dame: è vestita più semplicemente delle altre in bianco e sta poco bene e perciò è ancora più pallida del solito. Elena sembra trasfigurata dalla malattia, e Sperelli l’ammira nello stesso modo in cui Aurispa ammira Ippolita. Comunque Elena e le altre dame si riuniscono sotto gli affreschi che raffigurano diverse versioni del mito di Medusa:

159. All’estremità della galleria, si unì ad un gruppo di dame [...] sotto la pittura di Perseo e di Fineo impietrato (Piacere, p. 77).

È ancora una volta una reminiscenza del pericoloso carattere meduseo della sessua-lità femminile. In questa scena la bellezza di Elena turba gli uomini.

Durante il ballo e altrove i giovani signori valutano le caratteristiche corporee delle donne. L’essere desiderata aumenta il valore di una donna, ed Elena ha il valore più alto perché desiderata da tutti. Tramite la circolazione delle donne, gli uomini sono collegati gli uni agli altri in un circolo di scambio. Il valore della donna aumenta non solo se è desiderata, ma anche se ha un gusto raffinato. Il valore di Elena viene definito già nella scena dell’asta quando dimostra di saper scegliere oggetti preziosi che raccomanda a Sperelli (pp. 65–69). Oggetti più preziosi ancora, Elena inclusa, saranno acquistati da Lord Heathfield. Nella scena dell’asta gli oggetti circolano di mano in mano. L’elenco degli amori passeggeri di Sperelli presenta i personaggi femminili come oggetti di valore:

160. Barbarella Viti, la mascula, che aveva una superba testa di giovinetto, tutta quanta dorata e fulgente come certe teste giudee del Rembrandt; la contessa di Lùcoli, la dama delle turchesi, una Circe di Dosso Dossi [...];

Liliana Theed [...] risplendente di quella prodigiosa carnagione, composta di luce, di rose e di latte, che han soltanto i babies delle grandi famiglie inglesi nelle tele del Reynolds, del Gainsborough e del Lawrence; la marchesa Du Deffand, una bellezza del Direttorio, una Recamier, dal lungo e puro ovale, dal collo di cigno, dalle mammelle saglienti, dalle braccia bacchiche [...]

(Piacere, pp. 106–107).

In questo elenco i personaggi sono rappresentazioni di tipi, e hanno solo caratteri-stiche esteriori. L’elenco sottolinea anche l’interscambiabilità, poiché con le dame

130 «La Tribuna», 18 aprile 1886 (Scritti I: 522–526); «La Tribuna», 22 gennaio 1887 (Scritti I:

797–802).

nominate sopra Sperelli visita gli stessi luoghi (p. 108) che ha visitato con Elena (pp. 89–90), e che visiterà in seguito con Maria (p. 310).

Sperelli non si limita a girare nel mondo dell’aristocrazia, ma frequenta anche le dame del demi-monde che hanno bisogno di aumentare il proprio valore mediante l’arte figurativa. Durante una cena il narratore paragona una delle dame presenti, Maria Fortuna, prima a madame di Parabère, vissuta nel Settecento (p. 247, n. 1), poi alle figure di Tranquillo Cremona (1837–1878), che nei romanzi della Rosa è l’unico riferimento a un artista italiano dell’Ottocento:

161. [Maria Fortuna] era una Madame di Parabère. [...] E gli occhi le nuota-vano, molli viole, in un’ombra alla Cremona e la bocca sempre socchiusa mostrava in un’ombra rosata un luccicor vago di madreperla, come una conchiglia socchiusa (Piacere, pp. 246–247).

Inoltre Sperelli paragona (anzi, confonde scherzosamente) una delle donne presenti, Giulia Arici, con Giulia Farnese, raffigurata secondo Vasari nel tondo della Madonna col Bambino e Cherubini di Pinturicchio.131 Il paragone con l’arte

«crea» la donna, conferendo un valore che altrimenti non avrebbe. La funzione dell’arte è quindi nobilitare la donna che ha un ruolo nella sfera della bellezza solo come una componente attraente, magari migliorata da un artista. Effettivamente è compito dell’artista trovare la bellezza ideale nella donna.132 Questo è accaduto con Clara Green, un vecchio amore di Sperelli, che grazie agli artisti ha ottenuto

«un’incipriatura estetica»:

162. [Clara Green] pareva una bellezza greca in un keepsake. Aveva una certa incipriatura estetica, lasciatale dall’amor del poeta pittore Adolphus Jeckyll;

il quale seguiva la poesia di John Keats e in pittura l’Holman Hunt, compo-nendo oscuri sonetti e dipingendo soggetti presi alla Vita nuova. Ella aveva

«posato» per una Sibylla palmifera e per una Madonna del Giglio. Aveva anche

«posato», una volta, innanzi ad Andrea, per uno studio di testa da servire all’acquaforte dell’Isabetta nella novella del Boccaccio. Era dunque nobilitata dall’arte (Piacere, p. 242).

Adolphus Jeckyll è un personaggio fittizio, mentre la Sibylla palmifera e forse anche la Madonna del Giglio sono opere di Rossetti.133 Clara è perfino presentata come

«ancilla Domini, Sibylla palmifera, candida puella» (p. 244). Non è dunque solo paragonata alle figure rossettiane, ma assimilata a loro. Nello stesso modo un’altra inglese, Costantia Landbrooke, amata da Sperelli, è «una incarnazione» della contessa di Shaftesbury:

131 Prose di romanzi: 245, n. 2.

132 Per es. Dijkstra 1986: 237. Allo stesso modo, negli scritti dei Goncourt le donne meritano ammirazione se nobilitate dall’arte, per esempio se la donna ha posato per gli artisti (Forrest 2005–2006: 47–48).

133 D. G. Rossetti, Sibylla Palmifera, 1866–1870, 93 x 85, olio su tela, National Museums of Liverpool (Lady Lever Art Gallery, Port Sunlight).

163. Pareva una creatura di Thomas Lawrence; aveva in sé tutte le minute grazie feminine che son care a quel pittore dei falpalà, dei merletti, dei velluti, degli occhi luccicanti, delle bocche semiaperte; era una incarnazione della piccola contessa di Shaftesbury (Piacere, p. 40).

La descrizione proviene da Peinture anglaise, quindi nemmeno qui è dovuta ad un’osservazione diretta.134

Il personaggio femminile rappresenta dunque certi valori che, attraverso l’opera citata, rimandano a un’epoca gloriosa nella storia dell’arte. Ciò è illustrato da Donna Bianca Dolcebuono, diventata amante di Sperelli dopo Elena:

164. Donna Bianca Dolcebuono era l’ideal tipo della bellezza fiorentina, quale fu reso dal Ghirlandajo nel ritratto di Giovanna Tornabuoni, che è in Santa Maria Novella (Piacere, p. 105).

Sperelli, possedendo Donna Bianca, «possedeva in lei tutte le gentili donne fioren-tine del Quattrocento» (p. 106). Inoltre certe cadenze della voce di lei «gli susci-tavano la visione d’un giardin fresco d’acque pel quale ella andasse in compagnia d’altre donne sonando e cantando come in una vignetta del Sogno di Polifilo» (p. 106), che rimanda alle illustrazioni dell’Hypernerotomachia Poliphili . Si cita dunque un secondo esempio dell’arte del Quattrocento, uno dei periodi d’oro dell’arte italiana.

Alcuni personaggi secondari, come Francesca, la marchesa d’Ateleta, e Donna Ippolita Albónico, hanno un ruolo catalizzante. Francesca è il personaggio più importante dopo Elena e Maria. È un’intermediatrice nel senso che presenta sia Elena che Maria a Sperelli – la prima in una serata a casa sua (p. 43), la seconda a Schifanoja (p. 159) – inoltre allestisce per Sperelli un ambiente «materno», di rigenerazione, durante la sua convalescenza. Assomiglia fisicamente a madame de Pompadour:

165. I lineamenti gai del volto rammentavano certi profili feminini ne’

disegni del Moreau giovine, nelle vignette del Gravelot. Ne’ modi, ne’ gusti, nelle fogge del vestire ella aveva qualche cosa di pompadouresco, non senza una lieve affettazione, poiché era legata da un singolar somiglianza alla favo-rita di Luigi XV (Piacere, p. 41). 135

166. [La marchesa d’Ateleta] possedeva il segreto della signora di Pompadour, quella beauté sans traits che può avvivarsi d’inaspettate grazie (Piacere, p. 152).

Il riso di Francesca è «infaticabile» (p. 41) o «inestinguibile» (p. 43); questo aggettivo descrive altrove l’enigmatico sorriso leonardesco, ma il personaggio di Francesca non è caratterizzato dall’aspetto sinistro attribuito alle figure leonardesche. Per i Goncourt madame de Pompadour dovrebbe essere un ideale, perché personaggio settecentesco, ma malgrado il patronato delle arti e la sua influenza sulla moda, la giudicano «borghese», e ciò ne impedisce l’elevazione all’altezza dell’ideale.

134 Andreoli in Prose di romanzi: 40, n. 1.

135 Il Moreau giovine è l’illustratore Jean-Michel Moreau (1741–1814), non il simbolista Gustave Moreau (Andreoli in Prose di romanzi 2005: 41, n. 2).

Effettivamente, secondo i fratelli la persona della Pompadour non corrisponde ai suoi ritratti.136 Le descrizioni di Francesca non sembrano comunque manifestare eventuali connotazioni negative. Anche l’apparenza di Donna Ippolita è priva di qualità sinistre. È un personaggio «reale»:

167. [Donna Ippolita] aveva nella sua persona una grande aria di nobiltà, somigliando un poco a Maria Maddalena d’Austria, moglie di Cosimo II de’ Medici, nel ritratto di Giusto Suttermans, ch’è in Firenze, dai Corsini (Piacere, p. 108).

Al suo personaggio è strettamente collegato l’orologio a forma di teschietto d’avorio, acquistato da Sperelli all’asta, che porta l’iscrizione «TIBI, HIPPOLYTA»

(p. 68–69, l’es. [98]). L’orologio diventa un oggetto che misura le tappe nella narra-zione. Già all’inizio unisce Sperelli e Elena Muti, quando non sono ancora amanti:

Elena consiglia a Sperelli di acquistare l’oggetto (p. 68), che in seguito segna-lerà le ore che passano insieme (p. 90). Sperelli deve gareggiare con Giannetto Rùtolo, l’amante di Donna Ippolita, che vorrebbe l’orologio per l’iscrizione, ma quest’ultimo non riesce ad aggiudicarselo. In seguito avrà un’occasione di rivincita.

Il «gioiello mortuario segnato del nome d’una Ippolita oscura» spinge in effetti Sperelli a tentare di sedurre Donna Ippolita alla quale vorrebbe donare il gioiello, a patto che lei venga a prenderlo (p. 108). Questo capriccio porterà al duello fatale con Rùtolo. L’orologio antecipa dunque non solo le ore che gli amanti trascorre-ranno insieme, ma anche il duello che chiuderà la prima parte del romanzo, e la morte di Donna Ippolita (p. 270).

La funzione di un personaggio secondario può essere anche quella di essere in contrasto con un personaggio di primo piano. Nell’Innocente le caratteristiche di Teresa Raffo, della balia e delle figlie Maria e Natalia sono opposte a quelle di Giuliana. Nel Piacere Giulia Moceto, l’amante di Sperelli, ha caratteristiche che non possono essere evocate nelle descrizioni della casta Maria Ferres. Come ricor-diamo, il referente «Pandora» si sposta dall’una all’altra. Per la prima volta Maria

«vede» Giulia in uno dei disegni di Sperelli: una «testa dell’arcangelo Michele, che è un frammento della Madonna di Pavia, del Perugino», assomiglia, secondo la marchesa d’Ateleta, a Giulia (pp. 197–198). In seguito Maria la vedrà anche in carne e ossa (p. 292), provando in entrambi casi una gelosia profonda. Altrove Giulia, o il suo ventre, è paragonata alle sculture:

168. [...] o il ventre incomparabile di Giulia Moceto, polito come una coppa d’avorio, puro come quel d’una statua, per l’assenza perfetta di ciò che nelle sculture e nelle pitture antiche rimpiangeva il poeta del Musée secret? (Piacere, p. 119).

169. Ella è, dicono, sans plume et sans duvet come i marmi di Paro che canta il Gautier (Piacere, p. 239).

136 Forrest 2005–2006: 51.

170. ... il ventre d’una Pandora infeconda, uno scudo raggiante, speculum voluptatis; [...] un piccolo ombelico circonflesso, come nelle terre cotte di Clodion, [...] da celebrarsi in un epigramma degno dell’Antologia greca (Piacere, pp. 240–241).

Nella figura di Giulia si focalizza, tramite l’arte visiva, la tensione fra corporeità e sublimazione. La storia della seduzione di Giulia è ripetuta da uno degli amici di Sperelli che a sua volta l’ha sentita da un altro amico. Quando le mani del sedut-tore avevano toccato il pube di Giulia, questi le aveva ritratte spaventato, «come se avessero toccato la pelle d’una serpe, una cosa repugnante...» (p. 239). La purezza scultorea di Giulia è compromessa da un tono sinistro. Beninteso, il carattere di rettile delle donne è un soggetto popolare nelle rappresentazioni della misoginia.

Nel Piacere, il pube senza peli diventa un emblema della sterilità «d’una Pandora infeconda», che provoca repulsione e orrore, come la sterilità di Ippolita nel Trionfo.

La caratteristica di Giulia, la «rarità», è comunque desiderabile per gli altri, Sperelli incluso.

Nel Trionfo scarseggiano i riferimenti espliciti all’arte visiva; del resto il romanzo propone della femminilità un’immagine diversa da quella del Piacere e dell’Inno-cente . Nel primo, i personaggi femminili sono donne dell’aristocratizia o del demi-monde, descritte attraverso l’abbigliamento, i gioielli e i referenti figurativi. Nel Trionfo, oltre i nobili, ci sono personaggi del popolo, e la stessa Ippolita fa parte della

borghesia. Anche la gamma dell’età nel Trionfo si estende da fanciulle a vecchiette.

La corporeità delle donne è palese, non è nascosta in allusioni pittoriche, come nel Piacere. La descrizione delle raffigurazioni di cera nel Santuario della Madonna dei Miracoli (p. 882) è una reminiscenza della descrizione delle parti dei corpi femmi-nili nella scena di ballo a palazzo Farnese. Quanto ai popolani, la loro corporeità è meno idealizzata e vedremo che vengono rappresentati piuttosto come un corpo collettivo (si veda il capitolo 4.4.).

La scarsa presenza dell’arte visiva è dovuta all’ambientazione dell’azione in un mondo «primitivo», perché manca il bisogno di impreziosire l’ambiente. In alcuni casi i referenti visivi possono essere latenti, cioè la descrizione ha come fonte una o più opere d’arte, anche se l’esistenza del prototipo è difficile da verificare.

È possibile, anzi probabile, che nella scena della festa della Madonna a Casalbor-dino molte descrizioni delle figure maschili e femminili abbiano un prototipo nei disegni, nei dipinti e nelle fotografie di Francesco Paolo Michetti. Particolarmente importante come eventuale fonte è il Voto e i suoi disegni preliminari. In molti casi è comunque difficile inviduare modelli specifici, ma c’è ad esempio una connes-sione evidente fra «i rettili», le figure che si trascinano verso l’altare descritte nel romanzo (pp. 883–884, 889), e il Voto di Michetti. Nel Trionfo queste figure sono comunque tutte femminili, mentre nella tela michettiana quattro delle sei figure sono maschili.

Nel Piacere e nell’Innocente i personaggi femminili sono definiti attraverso la loro eleganza e la loro ascendenza, mentre nel Trionfo è determinante piuttosto

il loro ruolo nel ciclo riproduttivo. La maternità appare in una luce desolante. I bambini delle madri descritte sono o morti o malati, ed inoltre manca la figura della madre appagata. Il culmine della maternità è la «Cibele settuagenaria», la vecchia contadina che ha partorito ventidue figlioli, di cui dieci sono morti (p. 779).

L’orrore verso la femminilità, che ne fa l’archetipo della madre terribile, si focalizza nel passo «La Cibele settuagenaria apparve, portando nel grembo un mucchio di grosse chiocciole terrestri, un mucchio bavoso e molle da cui emergevano lunghi tentacoli» (p. 779). La viscosità delle chiocciole evoca l’idea della melmosità del grembo materno. La balia nell’Innocente, che è una seconda Cibele, è un’immagine diversa, poiché rappresenta una maternità solida, che Giuliana non conoscerà.

Benché la maternità sia uno stato di miseria, la sterilità di Ippolita è comunque anomala. Anche la sposa nel santuario di Casalbordino è una madre mancata, ma la sua sterilità è dovuta all’impotenza del marito (pp. 886–888). La coppia – una donna vigorosa e un uomo debole – rispecchia il rapporto fra Aurispa e Ippolita, oppure il modo in cui Aurispa vede il loro rapporto: Ippolita è dominante, lui una vittima. La descrizione della sposa, «una testa di regina barbara» (p. 886) porta alla mente le figure nei disegni di Michetti. Sembra appartenere a un’epoca remota, o al mondo dei miti classici:

171. Per qualche attimo la giovine donna emerse di tutto il capo sul tumulto [...] quasi circonfusa d’un mistero dionisiaco, spirante quasi un’aura di anti-chissima vita su quella moltitudine barbarica; e disparve, indimenticabile (Trionfo, p. 888).

La figura della sposa emerge dalla folla, così come la figura di Elena nella scena del ballo: è più potente, più bella delle altre. La sua funzione è permettere ad Aurispa di vedere un mondo diverso, quello della classicità. Tra la folla emerge anche un’altra figura che rimanda a un’epoca antica:

172. E di nuovo tutti gli altri passarono [...]; passò [...] quella vestita d’un sacco [...], figura di un evo antico, isolata nella folla, come circondata da un’aura dell’antica severità penitenziale, suscitando nello spirito di Giorgio ancóra la visione della grande e pura basilica ove la rude cripta primitiva ricordava i cristiani del IX secolo, i tempi di Ludovico II (Trionfo, pp. 879–880).

In questo caso la figura fa risorgere davanti agli occhi mentali di Aurispa una visione dell’architettura, che rappresenta un tipo di religiosità solitaria e dipen-dente dall’esperienza estetica di cui egli avrebbe bisogno. La basilica menzionata è San Clemente a Casauria, che Aurispa aveva visitato in compagnia dello zio Deme-trio (p. 859, l’es. [33]).137 Nel passo in cui i pellegrini sono descritti come un’entità quasi bestiale, una «coerente massa d’una qualche cieca materia sospinta da una forza vorticosa» (p. 880), paragonare una donna a una «figura di un evo remoto»

la rende santa. L’ekphrasis offre le possibilità di interpretare la scena altrimenti.

137 Andreoli cita una lettera a Barbara Leoni, in cui D’Annunzio descrive una visita «all’Abazia di San Clemente» con Michetti (Prose di romanzi: 859, n. 1).

La figura della donna, uscita da una rappresentazione visiva, suggerisce che nel santuario un’esperienza spirituale sarebbe possibile anche per Aurispa, se solo egli potesse abbandonarsi alla fede, come gli altri pellegrini.

Una figura di un’epoca antica è anche la vecchia signora Martlet, che Ippolita e Aurispa vedono sul treno mentre viaggiano verso Albano Laziale. È illustrata da una similitudine ecfrastica molto particolare:

173. La signora [...] mostrava [...] un viso emaciato, meditabondo; e nel suo abbigliamento e nella sua espressione ricordava la caricatura inglese d’una blue-stocking (Trionfo, p. 668).

Il referente figurativo differisce dagli altri referenti visivi dei personaggi femminili nel senso che si riferisce all’arte «di consumo», alle illustrazioni dei periodici o dei giornali. Il riferimento a una caricatura non nobilita il personaggio, ma rende

Il referente figurativo differisce dagli altri referenti visivi dei personaggi femminili nel senso che si riferisce all’arte «di consumo», alle illustrazioni dei periodici o dei giornali. Il riferimento a una caricatura non nobilita il personaggio, ma rende